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“Hakuna Matata (Nessun problema)” narra un pezzo di Africa, ma soprattutto i problemi dell’animo umano che il titolo, composto dalle due parole più famose della lingua swahili, richiama con ironica negazione.

Piena di problemi è Sandra, la protagonista, al primo viaggio dopo un divorzio, con tre bambini rimasti a casa col padre.
Pieni di problemi sono: il professor Righetti, che deve scendere a compromessi con gli ideali e li insegue anche per sfuggire alla solitudine; Franco, piccolo borghese immerso in una vita nebulosa; Adalberto, l’ex di Sandra, combattuto tra il passato matrimoniale e il futuro incerto; Sara, la mantide religiosa; la paciosa Iaia, alle prese con gli avvoltoi; il barista Relli, fuggito dall’Italia per trovarsi in pasticci ancora più grandi; Lisa e la sua psiche; Giangi in perenne fuga, malgrado l’ostentata sicurezza; il signor Hasli, benché miliardario, in crisi d’identità.

Nessuno di loro capisce che, in fondo, si tratta dei problemi comuni a tutta l’umanità. 
Nessuno capisce e tutti s’illudono di capire.
Questo succede per l’ultima volta a Sandra che, sul volo di ritorno, finisce per ridere di se stessa, per il drammatico significato che stava dando senza motivo alla sua esistenza e all’esperienza africana. 
E, alla luce di una ritrovata ironia, riuscirà a vivere con più serenità i giorni del suo dopo-Africa.

 

Incipit

“Carta”.

“Carta ancora”.

“Vedo”.

“Cinque e mezzo”.

“Sei”.

“Sette”.

“Il solito fortunato”.

Claudia riassettava la camera dei bambini, sorridendo dell’infantile passione degli adulti per il gioco delle carte. Si fermò un istante alla finestra. Fuori il paesaggio era maestoso, solenne. La nevicata della notte precedente aveva reso tutto bianco e confondeva, senza soluzione di continuità, il cielo, cereo e ancor gravido, con i campi candidi.

Qua e là, nel bianco, Claudia distingueva appena alcune delle sagome che a poco a poco le diventavano sempre più familiari. Dietro la portentosa e tanto dolce costruzione della torre campanaria si staglia il Pomagagnon, massiccio e pretenzioso benché la più bassa delle montagne cortinesi. A destra il Cristallo, modesto dietro le quinte, e il Faloria, dove accanto agli sciatori le signore si abbrustolivano al sole per ore e ore, fra un Novella Duemila e un latte macchiato.

I tetti bianchi, sottolineati appena da due tratti di pennello più scuri, erano tutti festosi di scintillanti candelotti di ghiaccio: favolose stalattiti destinate a cedere il loro splendore alla prima fumosa pozzanghera, nera di smog.

Rare automobili passavano, tenaci e lente, a passo d’uomo, e il rumore delle catene sulla strada era quasi interamente attutito dalla neve.

“Sette e mezzo”.

“Sette e mezzo vince banco”.

“Al diavolo, che fortuna sfacciata!”

“Pensa a passarmi i pistacchi”.

Dall’altra finestra si vedevano prima le Tofane, quindi le Cinque Torri, e la Marmolada, che, avvolta dalla nebbia, si riusciva soltanto a immaginare.

“Dammi il Porto”.

“Tu pensa a distribuire le carte”.

“Claudia, guarda che ha da frignare Luigi”.

“È Robertino, papà, non sono io”.

“Fallo tacere, diavolo, dagli un biscotto, del latte, qualcosa”.

“Dagli un Tavor!”

 

Prefazione

Hakuna Matata è stato il primo romanzo che ho scritto, ma non l’ultimo che ho terminato. Incominciato nel 1989 dopo un viaggio in Kenya, è stato finalmente concluso nel 1995 dopo un altro viaggio in Africa (Senegal), e, con le varie correzioni e modifiche sono arrivato al 2000. A tutt’oggi non me la sento di considerarlo finito. Incominciato a ventinove anni e quasi terminato a quarantatre: un terzo della mia vita.

Innanzitutto perchè questo romanzo. Fondamentalmente per la voglia di narrare, questa insopprimibile necessità che alberga in me, come in tanti altri. L’ho scritto, mettendolo in bocca a Sandra e al professore, quando parlano dell’arte dello scrivere. Voglia di narrare i posti, senza dubbio evocativi, ma soprattutto l’animo umano che, alla faccia del titolo (Nessun problema) di problemi ne ha, eccome. Con la particolarità di vedere i propri da una prospettiva esasperata. Problemi da vendere ne ha Sandra, ma pure Righetti, che deve scendere a compromessi con gli ideali, e cerca gli ideali anche per sfuggire la solitudine; ne ha Franco, nella sua vita nebulosa; ne ha Adalberto e ne ha Sara. Ne ha la paciosa Iaia, alle prese con gli avvoltoi, e Relli, che fuggito dall’Italia si trova in pasticci ancora più grandi; ne ha (drammatici) Lisa, ne ha Giangi, in perenne fuga, sebbene col sorriso sulle labbra; ne ha il signor Hasli, benchè miliardario.

Ma nessuno capisce a fondo che i nostri sono i problemi dell’umanità, in un mondo frantumato, in cui siamo pronti a bollare il prossimo sulla base delle apparenze (come fa spesso Sandra, donna pur sensibile e intelligente, a partire dall’aeroporto, quando battezza la signora che legge Proust come lettrice di romanzetti rosa).

Nessuno capisce, e tutti credono di capire, come succede a Sandra sul volo di ritorno, dove alla fine finisce per ridere di se stessa, per il drammatico significato che stava ingiustificatamente dando alla sua esistenza e alla sua esperienza africana; e forse, alla luce di questa trovata ironia, riesce a vivere con un po’ di maggiore serenità i giorni del suo futuro.

 

Un ultimo appunto: nel 1994 la Walt Disney ha fatto uscire il cartone Il Re Leone, con la canzoncina Hakuna Matata. Fino ad allora mi gongolavo per il titolo scelto, il cui significato era conosciuto solo a chi si fosse recato in Kenya; poi ho avuto una crisi di coscienza, ho meditato di cambiare titolo, e alla fine ho pensato di lasciarlo, a dispetto di chi si mette a cantare la simpatica canzone. In fondo l’avevo scelto prima io.

Cesare

Praga, 8/12/2003