scritto nel periodo 1990-1992

Incipit

 

“Quest’anno fra le ragazze è di moda la cellulite”

Gipunto si è svegliato dal sonno pomeridiano e si è sedu­to, osservando il panorama mentre si strofina gli oc­chi con i pugni chiusi. Poi, constatato che il panorama è costituito esclusivamente da cosce adipose, ridondanti di grassi su­perflui, da tette cadenti che ostentano il loro de­grado in un anacronistico topless e da pance dal giro vita ribut­tante, si è nuovamente adagiato sul lettino, per ripren­dere il sonno.

Nel suo agitato dormiveglia, rinfrescato da una leggera brezza che rende mite il sole del pomeriggio di luglio, so­gna ragazze grassissime che gli passano davanti, lo sfiora­no, lo toccano, ridono.

Decine, centinaia, migliaia.

Poi tutti i giocatori della palla, pallone, racchettoni, boc­cine, che gli si mettono sul cammino, sospingendolo da ogni parte.

Un esercito mostruoso di giocatori della palla in tutte le sue forme da una parte, e dall’altra le donne grasse e sghi­gnazzanti che lo attendono, affamate di maschio.

Poliu, verificato che Gipunto dorme, o meglio, che ha ap­pena preso sonno, comprende che è il momento migliore per realizzare il suo progetto. Afferra il bottiglione di ac­qua ghiacciata che ha appena comprato e inco­mincia a versargliela sulla schiena, partendo dalle vertebre cervi­cali, seguendo con le dorsali e terminando l’intero conte­nuto della bottiglia nella zona sacro‑lombare.

Gipunto vola come per istinto in aria, senza nemmeno rendendersi conto con precisione di quanto è successo, e ricade infine pari pari sulla sabbia di fianco al lettino. Poi, vedendo Po­liu che ride a crepapelle con in mano la botti­glia rovesciata che goc­ciola sulla sabbia, lo guarda con occhi carichi d’odio.

“Che cazzo… questa giuro che me la paghi”

Le ragazze sedute di fianco a loro si sono messe a ridere, divertite sia dallo scherzo perfido di Poliu, sia dalla rea­zio­ne di Gipunto.

Di fianco a loro Settepiù dorme e l’Oracolo, che ha assi­stito alla scena con aria di sufficienza, ha staccato appena per un secondo lo sguardo dal giornaletto enigmistico che sta sfogliando, per grugnire qualcosa che nessuno è riusci­to a comprendere e ha ripreso con rebus e cruciverba.

Bigbabol è una ragazza appariscente. Subito ti sembra un gran pezzo di donna, poi, se scendi nel dettaglio, stenti a darle la sufficienza. È una bellezza californiana, o quasi. Le mancano le grosse tette, se no forse potrebbe stare pure su qualche giornaletto porno soft americano di quar­t’ordine. È bionda e ha occhi azzurri, due occhi che a me sono sembrati troppo vicini, la bocca è larga, mostruosa­mente larga, an­che se lei cerca di tenerla stretta stretta. Le labbra sono sottili, filiformi. Le tette sono minuscole, l’ho già detto. Le gambe sono due gran belle gambe e, se non fosse che il culo ha qualche chilo in più, vista dal basso farebbe la sua figu­ra.

La vita cerca di salvarsela, in tutti i sensi. Nonostante qual­che budellino di troppo le accentui la curva del benes­sere.

Forse, raccontata così, Bigbabol sembra una specie di mo­stro da baraccone, ma non è vero. Sono io che sono fazio­so, perchè a me è antipatica. La tollero, perchè sono un tollerante per definizione. Però mi sta davvero antipatica.

La maggior parte della gente che la vede, così, su due piedi, la guarda e dice “Però!“, sottintendendo con quel però le mille idee che un però può nascondere dietro di sé.

Anch’io, la prima volta che l’ho vista, e non mi ero ancora reso conto di quanto fosse stupida (perchè ti inganna, e all’inizio maschera i ragionamenti cretini in maniera abba­stanza nobile) ho detto come tutti “Però!” e mi sono avvi­ci­nato a lei (era inverno, e aveva una minigonna vertigi­nosa) per farle i complimenti per le gambe che ha. Poi l’ho cono­sciuta e, come spesso mi capita, ho terminato di idea­lizzarla, e l’ho riportata a una dimensione più terrena, coglien­done come conseguenza tutti i difetti.

E poi io non ho mezze misure e per me è tutto buono op­pu­re tutto cattivo. Quindi, quando l’ho fatta scendere dal piedistallo, l’ho sprofondata nel letame e vi invito a leg­gere quello che scrivo cercando di discernere bene le mie parole. Sì, lo ammetto, sono fazioso. Ma accettatemi così, oppure smettete di leggermi.